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inverno demografico

ITALIA OGGI: La denatalità colpisce anche l’est europa

La denatalità è cominciata nell’Europa occidentale, paese del benessere. A partire dalla fine della prima guerra mondiale tutte le nazioni riducono la percentuale delle nascite. Cosa comprensibile. Sempre più le donne (per millenni spose e madri) entrano nel lavoro fuori casa, fare le due cose insieme è faticoso. Inoltre l’evoluzione del femminismo accentua il ruolo individualista e consumista del sesso debole: sposarsi, ma non troppo presto e fare pochi figli. Solo così la donna riuscirà a realizzare i propri diritti. Ci troviamo dentro un percorso per ora non modificabile. In Italia le nascite crescono sino al 1965 (tasso di fecondità 2,66 per donna), poi calano ogni anno, oggi abbiamo 1,34 figli per ogni donna fertile. Nel 2017 abbiamo avuto il 4% di neonati in meno (18 mila). Il numero dei cittadini diminuisce e gli anziani prevalgono sui giovani. Senza che le previdenze del Welfare abbiano aiutato a capovolgere la tendenza.

Sta accadendo anche nell’Est europeo. Ad esempio nella Ungheria di Viktor Orbán, che ha accentuato la politica a favore delle nascite. La scarsa natalità si associa all’emigrazione dei giovani (dal 2008 al 2018 un milione). Lo Stato ha accentuato i servizi sociali per le madri. Così anche nella cattolicissima Ungheria la natalità è scarsa (1,3 figli per donna). Il governo ha incentivato le cliniche della fertilità e stabilito un bonus di 115 euro per ogni figlio. La stessa cosa è accaduta nella Croazia. Un po’ tutti i paesi dell’est europeo soffrono di denatalità e di migrazione dei suoi giovani verso altre nazioni.

La denatalità è divenuto un problema assillante per tutta l’Unione Europea, dove è stato aperto un dipartimento «democrazia e demografia». Anche perché molti paesi, dell’ovest come dell’est, hanno rimediato alla perdita di mano d’opera giovanile con l’introduzione di migranti, in generale bianchi e cristiani, possibilmente ucraini. La denatalità è un fenomeno che riguarda tutte le nazioni europee, non più solo quelle di occidente, ma anche quelle orientali. Le cause di questo fenomeno sono note da tempo: l’immissione delle donne nelle attività lavorative fuori casa, le difficoltà economiche della famiglia, la scarsità dell’assistenza sia alle madri che ai bambini.

Sono difficoltà reali, per le quali tutti i paesi occidentali da anni spendono cifre crescenti, nella speranza di aiutare le coppie. Purtroppo il problema non si è risolto, ma aggravato. E sinora i risultati sono stati molto modesti.

Nessuno può negare che l’aspetto economico sia molto importante. Ma è solo uno dei tanti. Basterebbe pensare che nel passato le famiglie europee, assai più povere di quelle d’oggi, allevavano tanti figli. È dunque da supporre che la causa principale della crisi della famiglia non sia di carattere economica, ma antropologico. Essa è l’esito necessario di una concezione della vita, per la quale generare e allevare figli costituiscono soprattutto un peso e un rischio. In ogni caso un pericolo.

La società europea valorizza soprattutto la quotidianità e la transitorietà, appare priva di quei valori e credenze permanenti che un tempo erano così diffuse, anche grazie alla religione. Oggi il matrimonio è divenuto un contratto e non di rado anche un atto provvisorio affidato alla fantasia creativa. Il matrimonio come dono ha visto accentuarsi sugli aspetti di dono quelli di scambio.

Gli europei avevano una vecchia famiglia, paternale e autoritativa, che certo non mancava di difetti e abusi. Oggi è stata dimenticata, ma non ne abbiamo ancora trovata una nuova che funzioni. Perciò meno matrimoni e più convivenze, crescita di separazioni e divorzi. Diffusione di istituzioni chiamate «matrimoni», che in realtà sono scelte soggettive e narcisiste.

Ciò si è tradotto in vuoti e distorsioni nella educazione delle giovani generazioni, che rivela vuoti e impotenza, come mostrano la tossicodipendenza e la microcriminalità diffusa. La società in cui viviamo è prevalentemente edonista. Un tempo la famiglia veniva vissuta come gioia, ma tutti sapevano che implicava anche dei sacrifici. Non per tutti, certo, ma per non pochi oggi è solo un asilo, prevalentemente notturno, del riposo e della »gratificazione reciproca».

La promessa è divenuta contratto e il dono scambio. È una cultura nichilista, che ha cancellato le certezze e i valori permanenti, ha fatto prevalere dovunque la leggerezza e l’indeterminatezza. Producendo spesso un senso generale di paura e sconforto, una sfiducia nel futuro.

Non per tutti, certo, ma ciò che prevale è una «civiltà del vuoto», della provvisorietà e della transitorietà. Come stupirsi, allora, se le nascite, che da decenni calano nelle nazioni occidentali, oggi interessino anche i paesi orientali, che un tempo erano più prolifici?

Fonte: ItaliaOggi.

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